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L’era digitale ha sicuramente modificato sia il fare che
fruire l’arte e, come ogni innovazione tecnologica, non va a sanare i conflitti sociali o
culturali, semplicemente li rende più evidenti. Fare arte è sicuramente facilitato perché
maggiore è la rapidità per catturare e appropriarsi di un proprio immaginario visivo e
sonoro, per prendere appunti fotografici, per provare e riprovare senza grandi costi
nel processo creativo. Quindi per gli artisti credo che il miglioramento delle condizioni
di lavoro sia evidente. Per la fruizione, purtroppo, si rischia un effetto pornografico.
Cioè, la fruizione è fortemente facilitata ma se si è privi di quelle esperienze fisiche,
tattili, sensoriali, quell’educazione a conoscere la materia, il pigmento, il segno, il
graffio, i tempi naturali della lavorazione non si avrà mai una percezione consapevole.
Questo perché la trasmissione digitale manca, ovviamente, di tutti quegli aspetti
fisici che solo un’assidua frequentazione di gallerie, musei, atelier possono dare.
Ovviamente una capacità di acquisire queste capacità può essere coltivata anche
senza essere al centro delle grandi esposizioni culturali, soffermandosi sui dipinti
della chiesa di quartiere, sulle tracce dell’urbanistica passata, su un oggetto d’arredo
corroso dal tempo e goffamente riparato. Per comprendere l’arte attraverso queste
osservazioni più sottili manca però un percorso educativo appropriato, per usare
la strada più facile della mostra artistica manca la voglia, la cultura e in tanti, troppi
casi, la capacità economica. Quindi molti si
avvicineranno all’arte attraverso il mezzo digitale,
ma la loro sarà un’esperienza parziale, illusoria
e perciò pornografica. È il continuo ripetersi
della differenza fra classi culturali, prima ancora
che economiche. Una differenza che nessuna
tecnologia potrà mai, da sola, sanare.

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